Autore: D.ssa Giovanna Del Bene
Le etichette rappresentano un asset fondamentale del marketing anche nel settore del Beverage, in quanto giocano un ruolo fondamentale nel rapporto tra l’azienda produttrice e il cliente finale.
Difatti, oltre a svolgere una funzione informativa per il consumatore, l’etichetta aiuta anche a comunicare il valore stesso del prodotto e può fare, dunque, la differenza nel momento dell’acquisto, orientando la scelta su di un prodotto rispetto ad un altro.
Genericamente per “etichetta” nel settore Food & Beverage si intendono tutte quelle informazioni (marchi, immagini, simboli, diciture e così via) presenti sul rivestimento esterno (imballaggio) o sulle bottiglie.
A tal riguardo, spesso si confondono le regole specificatamente riguardanti l’etichettatura con quelle previste per la protezione del marchio d’impresa, che invece attengono a due normative distinte. L’etichetta è da considerarsi come la “carta di identità del prodotto” e contiene informazioni sulle caratteristiche dello stesso e le indicazioni (obbligatorie e facoltative) richieste per legge per poter immettere in un determinato mercato quello specifico prodotto (per esempio il nome della bevanda, la tipologia, la materia prima, l’eventuale gradazione alcolica, il paese di origine, la data di scadenza, le condizioni di conservazione, i dati del produttore e così via).
Invece, il marchio possiamo dire che rappresenta il “biglietto da visita” dell’impresa. Il marchio è il segno distintivo che ha la principale finalità di contraddistinguere i prodotti e servizi di una impresa da quelli di altre imprese, indicando l’origine imprenditoriale. Tuttavia, il marchio non ha solo una funzione meramente distintiva ma svolge altresì una importante funzione pubblicitaria e comunicativa, di garanzia di qualità e di attrattiva nei confronti del consumatore. In generale, la registrazione del marchio non è imposta dalla legge ma solo attraverso la stessa è possibile ottenere la protezione esclusiva sul nome commerciale del prodotto e/o dell’azienda produttrice oppure sugli elementi grafici dell’etichetta o del packaging. È opportuno procedere alla registrazione del marchio, nel momento in cui si pianificano attività di investimento promozionali o pubblicitari e, in ogni caso, prima di immettere nel mercato (nazionale o all’estero) il proprio prodotto e prima di presentare il prodotto a terzi (clienti, agenti, distributori ecc. ecc.). Tutto ciò al fine di evitare che terzi possano registrare indebitamente a proprio nome il marchio, così sfruttando illecitamente l’avviamento legato allo stesso e bloccando l’ingresso in quel mercato al legittimo titolare.
Tra le varie diciture presenti in etichetta, spesso gli imprenditori inseriscono autodichiarazioni riguardanti gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali del prodotto o dell’operatore, come per esempio la dicitura “bio”, “eco”, “sustainable” oppure “realizzato con bottiglie di plastica riciclata” o “rispettosa degli oceani” o “ridotto impatto climatico” oppure “consegna con compensazione di CO2”.
Si tratta dei “Green Claims” che molte aziende decidono arbitrariamente di inserire in etichetta, per cercare di assecondare le nuove sensibilità dei consumatori verso il rispetto dell’ambiente e le esigenze di sostenibilità. L’associazione del marchio o di un prodotto alle tematiche dell’ambientalismo è una pratica commerciale sempre più diffusa. Tuttavia, è importante distinguere tra “Green Marketing” e “Greenwashing” e conoscere le implicazioni legali dell’ultimo.
Il Green Marketing è un approccio di marketing che si concentra sulla promozione di prodotti e servizi a basso impatto ambientale, con l’obiettivo di soddisfare le esigenze dei consumatori orientati all’acquisto ecologico. In totale trasparenza e nella completa tutela del consumatore, esso mira a comunicare la eco-sostenibilità che sta alla base di determinati prodotti e servizi, attraverso la promozione di pratiche aziendali ecologiche e l’ottenimento di certificazioni ambientali.
Sulla base di uno studio condotto dall’EUIPO negli ultimi anni (vedi Marchi dell’UE verdi: aggiornamento 2022 – dati relativi al periodo 1996‑2021) è, altresì, aumentato anche il numero dei “marchi green”. Nel 2021 i paesi dell’UE che hanno depositato il maggior numero di “marchi green” in Unione Europea sono stati Germania, Spagna, Francia, Italia, Paesi Bassi e Polonia. Le principali categorie di prodotti a cui si riferiscono questi marchi riguardano il «Risparmio energetico» e la «produzione di energia» (oltre il 48%), il «controllo dell’inquinamento» (18%) e il «trasporto» (11%).
Secondo l’EUIPO un Marchio dell’Unione Europea è considerato “green” se la sua lista dei prodotti/servizi contiene almeno un termine “green” e si fa riferimento ad un segno che intende comunicare che si tratta di prodotti, servizi o pratiche commerciali rispettosi dell’ambiente.
Tuttavia, esisto il rischio elevato che questi marchi vengano rifiutati dall’EUIPO in quanto spesso privi di carattere distintivo o costituiti esclusivamente da diciture e segni che descrivono i prodotti/servizi designati oppure perché ritenuti ingannevoli per i consumatori.
L’utilizzo di Green claims e marchi green può essere una strategia di marketing efficace per le aziende che cercano di attrarre i consumatori orientati all’acquisto sostenibile, ma è importante che tali affermazioni siano vere e corrette. Le normative vigenti richiedono che le informazioni sui prodotti siano fornite in modo preciso ed accurato e che le affermazioni ecologiche siano verificabili, per non cadere nel fenomeno del tanto dannoso Greenwashing. Infatti, l’utilizzo improprio o fuorviante di green claims da parte di un’azienda, soprattutto se in associazione con i propri marchi, può danneggiare la reputazione dell’azienda stessa, rendendo i marchi decettivi e finendo per avere un impatto negativo sulla fiducia dei consumatori.
Il Greenwashing è una pratica di marketing ingannevole, che si riflette sulla brand reputation, attraverso la quale alcune imprese cercano di comunicare in modo fuorviante un’immagine di sostenibilità ambientale, senza avere un effettivo impatto positivo sull’ambiente. Il termine “Greenwashing” si manifesta attraverso l’utilizzo di marchi, affermazioni e di simboli ecologici che possono addirittura ingannare il consumatore sulle reali caratteristiche ambientali di un prodotto o servizio, con l’intento di pilotarne gli acquisti, omettendo di fornire strumenti utili al consumatore per verificare se le affermazioni ecologiche siano rispondenti al vero o se i benefici per l’ambiente dichiarati siano oggettivamente riscontrabili.
Il 22 marzo 2023 la Commissione Europea ha pubblicato una proposta di direttiva, conosciuta informalmente come “Green Claims Directive”, per fornire delle linee guida comuni a tutti gli stati membri per una corretta comunicazione ambientale. La direttiva ha lo scopo di mettere un freno alle autodichiarazioni, in modo da fornire ai consumatori informazioni più chiare, attendibili e verificabili, così da essere certi che i prodotti e servizi scelti siano realmente rispettosi dell’ambiente. Inoltre, la Commissione desidera valorizzare e potenziare la competitività delle imprese seriamente impegnate nella sostenibilità ambientale.
La proposta sarà ora sottoposta all’approvazione del Parlamento europeo e del Consiglio e se dovesse essere approvata, le imprese che utilizzano autodichiarazioni o marchi ai fini del green marketing dovranno garantire che le asserite proprietà ambientali dei propri prodotti e servizi siano verificate in modo indipendente e convalidate da prove scientifiche. Inoltre, non sarà più consentito indicare il punteggio complessivo dell’impatto ambientale di un prodotto e i confronti con altri prodotti o aziende richiederanno informazioni e dati equivalenti. La proposta riguarda anche la regolamentazione dei “marchi ambientali”. Secondo la Commissione, attualmente esistono almeno 230 marchi diversi con l’evidente rischio di confusione per i consumatori. Pertanto, “saranno ammesse solo le etichette sviluppate a livello UE, a meno che non siano presentate prove sufficienti e che l’etichetta sia approvata dall’UE. Le uniche indicazioni escluse dalla proposta sono quelle già coperte dai regolamenti UE esistenti o futuri, come l’Ecolabel UE o il logo degli alimenti biologici”.
Per quanto riguarda le eventuali sanzioni in caso di violazione delle norme, la Direttiva prevede che sarà compito dei paesi membri, tramite un sistema di controllo, introdurre multe efficaci, proporzionate e dissuasive per i trasgressori, con importi definiti in base alla natura e gravità della violazione.
In sintesi, è importante che le aziende che utilizzano il green marketing forniscano informazioni chiare, verificabili e certificate sulle proprietà ambientali dei loro prodotti. Inoltre, prima di richiedere la registrazione o utilizzare i marchi green, è consigliabile prestare attenzione ai possibili rischi di rifiuto da parte degli Uffici Marchi competenti a causa della mancanza di carattere distintivo o descrittivo oppure perché ritenuti ingannevoli per i consumatori.
© THINX Srl – Maggio 2023